Hello Kitty compie 50 anni e finisce in mostra a Londra. Irresistibili, teneri, antropomorfi e talora inquietanti proprio come quelli usciti dalla matita dell’eccentrico artista vittoriano Louis Wain (interpretato al cinema dall’altrettanto irresistibile Benedict Cumberbatch nel film di Will Sharpe con Claire Foy e Andrea Riseborough), gatti e gattine sono al centro della mostra Cute alla Somerset Gallery di Londra. Sponsor della rassegna in cui, dietro a concetti come dolcezza, tenerezza e adorabilita’, fa capolino il versante maligno e potenzialmente disturbante del ‘cuteness’, e’ la azienda giapponese Sanrio, depositaria del marchio della bambola senza bocca arrivata al giro di boa del primo mezzo secolo. La mostra e’ per tutte le eta’, alla luce di quella della sua ispiratrice: spesso vestite alla maniera della loro eroina, teen-ager e donne non piu’ giovani attraversano i saloni dell’ex palazzo dei duchi di Somerset alle spalle del ponte di Waterloo, pronte ad assorbire immagini in bilico tra il facilmente instagrammabile e l’esplorazione delle ambiguita’ che tutto quel che e’ ‘cute’ provoca nello spettatore: “Dalla tenerezza all’aggressivita nei confronti di beni di consumo chiaramente subordinate e non minacciose”, come spiega la sociologa Sianne Ngai, autrice di saggi sulla categoria estetica del ‘cute’.
Vetrine piene di cimeli collezionabili richiamano alla ‘Kittificazione’ dell’oggetto quotidiano: dal computer alla pasta, dalle cucitrici all’olio per auto, il nastro adesivo, l’acqua aromatizzata, i cosmetici e ogni tipo di Hello Kitty immaginabile, perfino un abito da sposa. Altrove le immagini di gatti di eta’ vittoriana: oltre a quelli di Louis Wain, considerato responsabile per aver elevato lo status sociale dei felini, ci sono anche i loro alter ego immortalati nelle cartoline di Harry Pointer – appollaiati sul sellino di un triciclo o in posa come ad un tea party – diventati cosi’ popolari che, si era lamentato una volta il fotografo di Brighton, avevano eclissato il suo lavoro di tutti i giorni. Una galleria e’ dedicata alla cultura del kawaii, la cultura giapponese della adorabilita’: si mostra come i progressi nelle tecniche di produzione di massa abbiano permesso vasti profitti grazie alla dolce capacita’ del ‘cuteness’ di provocare emozioni. L’esplorazione prosegue con la sezione Cry Baby in cui l’apparenza di vulnerabilita’ – gli occhi tristi di una bambola, gli arcobaleni che piangono lacrime multicolori – incoraggiano a prendersi cura dell’oggetto in mostra e a portarselo a casa.
Il tutto con l’aiuto di artisti contemporanei che esplorano l’ossessione della societa’ contemporanea per l’adorabilita’: Wong Ping, Ram Han e Juliana Huxtable sono esposti a fianco di effimeri pop per esplorare le ragioni che ce li fanno trovare stranamente irresistibili.
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