Proust? Un interminabile romanzo poliziesco

Guido Vitiello, in “Il lettore sul lettino” (uscito da Einaudi tre anni fa) si dichiarava lettore nevrotico, ovvero di quelli che, predicando bene e razzolando male, non riescono a sbarazzarsi nemmeno ... [Continua a leggere sul sito.]

Guido Vitiello, in “Il lettore sul lettino” (uscito da Einaudi tre anni fa) si dichiarava lettore nevrotico, ovvero di quelli che, predicando bene e razzolando male, non riescono a sbarazzarsi nemmeno di un libro, e accumulano senza sosta, fino al soffocamento.

Ora, con “La lettura felice” (Il Saggiatore) sembra aver trovato se non la cura almeno un terapeuta: e cioè Proust, con cui dialoga nel corso del libro a partire dal celebre saggio che lo scrittore della Récherche dedicò appunto alla lettura, ma anche inseguendolo nei brani dell’immensa opera dove il Narratore parla del suo rapporto coi libri: e trascrivendoli nella loro interezza, tanto che qualche volta ci si può anche chiedere chi stia parlando in una certa pagina – il che è molto piacevole. Né trascura le celebri pagine sul telefono, tanto per fare l’esempio di uno dei primi aggeggi tecnologici che costituirono, pur nel loro fascino irresistibile, un serio disturbo alla lettura.

Oggi i cellulari lo sono più che mai, tanto che Vitiello confessa di aver forse sbagliato a donare uno smartphone alla madre, perché da quel momento la distolse completamente dai libri. Vero? Paradosso? Apologo? Non ha importanza.

La sua domanda implicita è se quella di Proust fosse una lettura davvero felice, e dunque un modello; e la risposta è meno scontata di quanto non sembri. Il Narratore della “Récherche”, nelle pagine dedicate alle sue vacanze a Combray dalla zia Léonie, apprezza infinitamente la circostanza che la sua camera possa essere chiusa a chiave, e quindi diventi un rifugio per «tutte le occupazioni che invocano un’inviolabile solitudine: la lettura, fantasticheria, le lagrime e la voluttà».

Ma se l’elenco è oltremodo interessante, soprattutto nell’accostamento (forse non privo di ironia?) con il piacere, proprio per questo la lettura sembra assumere immediatamente uno statuto ambiguo. E’ dunque, secondo la definizione di Proust nel suo saggio su Ruskin dedicato a questo tema, una «solitudine popolata», una conversazione con amici, in base alla tradizione umanistica. Ma con una complicazione: questi amici sono morti, o è come se lo fossero: la conversazione con loro è a senso unico, il lettore diventa quasi una spia, una voyeur – come spesso accade peraltro, nella trama, al Narratore stesso della Récherche.

Proprio nella stanza chiusa a chiave, resta tuttavia la possibilità di una «comunicazione in seno alla solitudine» quello che per Vitiello è il «miracolo» della lettura, ovvero, secondo la classica definizione proustiana, il momento in cui il lettore attraverso lo specchio del libro legge se stesso.

E’ sufficiente? Ci basta? E soprattutto, c’è ancora questa possibilità? In questo libro, ricco di considerazioni molto stimolanti, quasi in un gioco a rimpiattino, la risposta alla fin fine non arriva, o non è così categorica come magari, poco saggiamente, vorremmo. Il lieto fine (quello ad esempio proposto recentemente in un grazioso romanzo francese di Stéphane Carlier, “Clara legge Proust” (Einaudi) non è per nulla assicurato; anzi Vitiello ci spiazza un poco, proprio alla fine del suo libro, con una proposta interpretativa che pare una boutade.

La domanda (retorica) è questa: «E se la Récherche non fosse che un interminabile romanzo poliziesco?» Ci sono elementi in favore della tesi, dall’uso che si fa ad esempio delle finestre ai serrati interrogatori cui il Narratore sottopone Albertine. Ma anche il libro di Vitiello, alla fin fine, potrebbe essere letto come tale: forse qualcuno o qualcosa, se ancora non ha ucciso, sta cercando di uccidere la lettura (felice). E’ urgente scoprirlo – con l’aiuto del detective Marcel.

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