L’epopea di Umberto Bossi, tra celodurismo e federalismo. Le notti insonni con i cronisti, le sparate, i riti celtici, il culto della personalit. E poi il declino, e la scomparsa del Nord
C’ aria di nostalgia per la vecchia Lega nord di Umberto Bossi e non passer molto tempo prima che il barbaro Matteo Salvini ripieghi sul passato, rispolverando bandieroni celtici e parole d’ordine dimenticate, cercando di evitare che il tracollo elettorale gi in atto lo travolga definitivamente. Venerd si festeggiano, si fa per dire, i 40 anni della Lega
, anche se non rimane quasi nulla di quel partito nato il 12 aprile 1984 dall’associazione Lega Lombarda Autonomista, registrata dalla notaia Franca Bollorini a Varese, alla presenza di Umberto Bossi, della futura moglie Manuela Marrone, dell’architetto Giuseppe Leoni, di Marino Moroni, Pierangelo Brivio e Emilio Sogliaghi.
Siamo l’ultimo partito leninista, diceva il bluesman Bobo Maroni, con malizia, fingendo di rappresentare l’ala sinistra di un partito che non aveva ali, perch il partito cominciava e finiva con Umberto Bossi, il capo, come lo chiamavano tutti, dal primo dei colonnelli fino al fedele autista Pino Babbini. Il Capo disponeva e ordinava, strigliava e silurava, decideva accordi in canotta e li faceva saltare in aria un minuto dopo. Del resto, uno che aveva festeggiato per tre volte la laurea in medicina senza aver mai dato gli esami, avrebbe potuto dire qualunque cosa. Quando parlava l’Umberto, tutti dicevano di s. Il consigliere lombardo Davide Boni lo ammetteva senza remore: Se Bossi mi dice di raccontare che la mia giacca bianca nera, beh, io vi dico che nera.
Il mefistofelico Gianfranco Miglio lo chiamava bullo di periferia (lui lo ripag definendolo una scoreggia nello spazio). E lo era, ma era anche uno che la politica la masticava bene, come i suoi sigari. Sapeva come parlare con il Berlusca ma anche con il popolo. Alternava con nonchalance gesti dell’ombrello e insulti omofobi e razzisti a lunghe dissertazioni storiche sull’illuminismo e sulle guerre del Barbarossa, arringava fino a notte folle di padani in delirio, accorse a vedere i suoi comizi chilometrici nelle valli della bergamasca. Si finiva spesso la mattina, con spaghettate in bianco e pizze alla marinara innaffiate da Coca-cola. I militanti, mi raccont uno di loro, stavano poi a guardia della stanza per impedire che nel letto del Senatr ci finissero troppe ammiratrici. Invent riti magici farlocchi, raccogliendo l’acqua del Po alle sorgenti di Pian del Re, riesum Alberto Da Giussano e radun folle di sciroccati in armatura e calzamaglia. Ma soprattutto rappresent le paure, l’orgoglio, gli egoismi e il buon senso reazionario della gente del nord, che si sentiva tartassata da Roma e temeva di perdere la sua sicurezza, la vita tranquilla e agiata, perch stavano arrivando i cinesi a fare concorrenza sleale. E intanto la sinistra faceva spallucce: Ci spiace, la globalizzazione, dicevano quasi soddisfatti. Erano in arrivo anche i migranti dall’Africa, i vu cumpr, i Bingo Bongo, che toglievano il lavoro e le donne ai nostri, ed erano diversi dai Brambilla e dai Fumagalli pallidi che si vedevano di solito dalle parti di Cazzago e di Legnano. La Lega era una sorta di democrazia cristiana secolarizzata, il prodotto del protoleghismo gi teorizzato nel 1982 dal dc veneto Antonio Bisaglia, che divent poi federalismo antieuropeista e anticentralista.
E poi c’era la societ che cambiava, i culattoni, gli zingari, i drogati: meglio rinchiudersi nella ridotta di una Padania immaginaria, nella fabbrichetta, nel ghe pensi mi, e inventarsi un popolo, un’identit, lontana dalla Lombardia colonizzata dall’italicismo romano, indossando una blusa rattoppata con infinite varianti: i lavoratori padani, i medici padani, i giovani padani, le mogli padane, i ciclisti padani, gli alpinisti padani, i cattolici padani, i comunisti padani (qui ci militava un giovanissimo Matteo Salvini, che alternava quiz tv, caccia al terrone e pose da centro sociale).
Quando arrivarono sulla scena, nel ’92, comunisti e progressisti di professione si indignarono, ma qualcuno prov a guardare oltre e decise che con quei buzzurri bisognava farci i conti. Per Massimo D’Alema, la Lega era una costola della sinistra, lui che era sprezzante e altezzoso, tutto barche a vela e comunismo da sezione, sentiva il fascino di un leader popolare e di un partito che sapeva mettersi in connessione sentimentale con il suo popolo. Ma non era l’unico. Oreste Scalzone nel ’93 si augurava che Bossi spazzasse via tutto, Toni Negri spiegava che Bossi incarna l’unica vera forza rivoluzionaria. Giorgio Bocca, nello sconcerto della redazione di Repubblica, scrisse un pezzo con il quale annunciava il suo voto per la Lega e concludeva con un memorabile: Grazie barbari. Perch senza il Carroccio, gli zombie socialisti e democristiani sarebbero ancora al governo e Antonio Di Pietro sarebbe a spaccare sassi in Sardegna. Bossi affascinava e repelleva, le sue carnevalate erano oggetto di scherno ma c’era qualcosa in lui che attirava anche i nemici. Rispetto all’amico-rivale Silvio Berlusconi (che per un periodo diventer Berluskaiser e Berluscaz), era pi ruvido che piacione, ma in fondo aveva la stessa stoffa di incantatore.
Intorno al Senatr, in quegli anni c’era un cerchio magico di bravi giornalisti, molti di sinistra, critici ma soprattutto curiosi, poi a poco a poco avviluppati nella ragnatela bossiana. Qualcuno divenne quasi sodale, compagno di merenda, molti si sentirono depositari dello sbracato verbo bossiano, adepti laici del culto, osservatori esterni orripilati e affascinati. Si sentivano privilegiati dalle telefonate notturne, dalle confidenze, perfino dagli insulti del Capo, che dava scoop a ripetizione e faceva ridere e indignare il gruppo di cronisti con la sua virile e volgare esuberanza. Daniele Vimercati fu il primo a seguirlo con attenzione, prima all’Indipendente, poi con Iceberg, su Telelombardia, e insieme a lui Gianluigi Da Rold, al Corriere e poi in Rai. Per Repubblica c’era il decano Guido Passalacqua, grande cronista, a suo tempo gambizzato dalle Br, per l’Unit Carlo Brambilla, al Messaggero Renato Pezzini, alla Stampa Giovannino Cerruti. Quando cercava l’ufficialit, Bossi chiamava, anche alle tre di notte, Maurizio Lucchi e dettava all’Ansa lunghi comunicati categorici e farneticanti. C’ uno splendido articolo per Epoca di Maria Grazia Cutuli del 30 agosto del ’96, che racconta il circo Bossi: le conferenze stampa alle 11 di sera, lo scopone alle tre di notte, la pizza delle 4 e mezzo del mattino, con dichiarazioni esplosive. Come ha raccontato poi sul Foglio Cerruti: Si andava a letto alle sette-otto di mattina, senza capir bene se si aveva vissuto una pagina di storia o se ci si era fatti prendere per il culo. Quando Bossi si ammal, davanti alla casetta di Gemonio presidiata per interminabili ore da noi cronisti giovani, vedemmo arrivare qualcuno dei pi anziani e autorevoli, con in mano un regalo di compleanno. Gli unici a potersi avvicinare, a poter salutare il Capo malato.
Quando Fabio Cavalera – eravamo gi nell’epoca del Bossi colpito dalla malattia – lasci il gruppo per andare all’ufficio di corrispondenza del Corriere a Pechino, ne presi il posto e mi trovai isolato da un gruppo di cronisti che lavoravano a stretto contatto con il Capo, chiusi a testuggine. Impossibile trovare notizie, perch le notizie nella Lega le dava Bossi e le dava solo ai suoi. E cos, con Adalberto Signore del Giornale, per evitare di essere travolti dai buchi, dovemmo aggirare l’ostacolo: le fonti migliori diventarono Bobo Maroni e Roberto Calderoli, delfini e poi rivali, e certi cronisti irrequieti della Padania, che raccontavano quei retroscena che i bossologi non sapevano o tralasciavano distrattamente, per non fare infuriare il capo.
Era una Lega che univa il folclore del celodurismo, del sacro pratone di Pontida, delle ampolle e del Monviso, del dito medio, a un pragmatismo concretissimo che raccoglieva i consensi della piccola borghesia del Nord produttiva, delle partite iva, degli imprenditori indignati contro il parassitismo della burocrazia, contro le ruberie di Roma ladrona. Bossi sognava e faceva sognare il federalismo, contro il centralismo, come da audiocassetta regalata in allegato da Cuore nel ‘93, diventa leghista con l’ipnosi, con la voce roca di un ispiratissimo Michele Serra. Il Senatr minacciava di far scendere dalle valli trecentomila bergamaschi con i fucili, invocava il protezionismo e prometteva cannonate contro i clandestini (il sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini voleva sparare ai migranti come ai leprotti). Ma poi il nocciolo duro non era quello, il razzismo esibito era spesso solo una cortina fumogena per pater le bourgeois. Il vero collante del leghismo era la difesa dei privilegi del ceto medio-piccolo settentrionale, il proletariato di provincia, la borghesia rurale. La paura di veder collassare il piccolo mondo antico, il terrore della modernit, di tutto ci che era straniero e diverso, la rabbia degli imprenditori che avevano lavorato duro e che ora rischiavano di perdere tutto quello che avevano costruito con il sudore di una vita.
La Lega delle origini era una Lega contraddittoria, che poteva permettersi di tenere dentro tutto e il contrario di tutto. All’inizio c’erano perfino i gay padani (i Los Padania, Libero orientamento sessuale), si professava una totale libert religiosa, e Bossi fu sempre anticlericale, contro i vescovoni (affogheremo il Vaticano nel water della storia), oltre che fieramente antifascista e nemico di Le Pen. Maroni lo ripeteva fino alla nausea, anche nell’ultima fase: Noi non siamo di destra n di sinistra. Non era quello il punto, le vecchie ideologie non contavano, c’era solo tanto orgoglio e un po’ di rabbia. L’eroe di Bossi era Braveheart, simbolo della sottomissione delle popolazioni latine all’Europa germanica di Ariovisto e di Maastricht. La Lega delle origini era per la libert dei popoli, manifestava per gli indipendentisti catalani. Oggi la nuova Lega di Salvini abbraccia il neofranchismo di Vox. Come dice l’architetto e aviatore Leoni: Eravamo partiti per arrivare all’autonomia e al federalismo e siamo arrivati, invece, al fascismo.
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12 aprile 2024 (modifica il 12 aprile 2024 | 00:31)
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