di MARIA SOLE SANASI D’ARPE
Pubblichiamo l’intervento che l’autrice legger in occasione della rassegna ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, sabato 13 luglio in piazza Garibaldi a Cervia (Ravenna). Il tema del 2024 La timidezza e i suoi contrari
Il tema della Milanesiana di quest’anno dedicato alla timidezza ed ai suoi contrari. E non detto che i contrari della timidezza corrispondano necessariamente alla disinvoltura e all’estroversione, cos come non parimenti ovvio che gli opposti non possano coabitare in una stessa identit. Il senso comune spesso ci induce a ritenere — operando una sorta di semplificazione che in effetti pu sembrarci utile o perlomeno pi pratica — che un lato prevalga nettamente sull’altro, ovvero sul suo contrario. Eppure esistono talune manifestazioni del s che sono la chiara rappresentazione della possibilit di ospitare tanti elementi diversi in un singolo. Mi spiego meglio; il mestiere dello scrittore, per esempio, trattiene nel suo operato, ma anche nel suo spirito, le nature pi svariate. Ed in questo senso, le parole di mestiere e scrittore poste l’una accanto all’altra gi rischiano di apparirci come una contraddizione in termini. Scrivere infatti non pu definirsi un mestiere, ma un’esplicazione pratica della propria etica: l’evidenza concreta e razionale di uno stato emotivo o irrazionale, di ci che gi esiste ma soltanto dentro di noi; ovvero di quell’insieme di pensieri ancora in disordine e pertanto in potenza, sospesi in un limbo, e che per divenire atto necessitano di essere posti in ordine — o meglio, in armonia — sul foglio bianco. Cos come nella mia lirica tratta da Di sole menti (Dalla mente al foglio):
So soltanto pensare/ e poi spostarmi davanti/ il pensiero su carta:/ perch poi si distacchi/ dalla mente e diventi/ cos da s cosciente;/ come non fosse mio,/ ma un figlio messo al mondo/ per camminare sveglio/ dal torpore frontale./ Ora sul foglio bianco:/ libero dal consiglio,/ slegato dal cervello,/ disteso sul ciglio/ dell’abbaglio pi bello.
Nella poesia ho descritto il pensiero come se, una volta slegato dalla mente, prendesse vita, si rendesse indipendente, proprio grazie all’armonia conquistata: come fosse, appunto, un figlio dell’intelletto che l’ha originato. Giacomo Leopardi — forse considerato l’introverso desiderante o tendente all’estroversione per eccellenza — in una delle cosiddette canzoni filosofiche, intitola il Canto XXVI Il Pensiero dominante; ove fa s che il pensiero divenga soggetto e non strumento dell’uomo (di Leopardi stesso, nel caso specifico), tramite una vera e propria personificazione del pensare, capace infatti di dominare l’individuo-creatore. Dolcissimo, possente/ Dominator di mia profonda mente;/Terribile, ma caro/ Dono del ciel; consorte/ Ai lgubri miei giorni,/ Pensier che innanzi a me s spesso torni.
L’armonia del pensiero che diventa prosa o verso scritto essenziale: la forma, dunque, domina quasi del tutto la sostanza. L’estetica si rende perci madre dell’etica: l’organizzazione, cio, diviene fondamentale per cingere il contenuto; perch la tempesta di idee che abbiamo dentro manifesta l’estremo bisogno di slegarsi da quell’aggrovigliata introversione, per trovare l’armonia e rendersi chiara limpidezza all’esterno. Ecco, il bisogno del pensiero di estromettersi: la necessit di estroversione, che la stessa timidezza possiede in s. Timidezza ed estroversione possono coesistere entrambe in unico individuo senza prevaricare l’una sull’altra; bens allo stesso grado di intensit, poich strettamente necessarie l’una all’altra. Nel caso di chi scrive, la timidezza, l’introversione rappresentano le fondamenta irrinunciabili per costruire interiormente la capacit di riflessione, di analisi e di autocritica; e al contempo sono la molla, il motopropulsore che spinga quella timidezza ad ordinarsi per non costituire un ostacolo ma uno slancio verso l’esterno: perch non ci si rivolga soltanto a s stessi ma si parli rivolgendosi all’altro.
La figura del poeta, operando un’ulteriore distinzione rispetto a quella dello scrittore, forse l’emblematica evoluzione della natura del timido: che afferma e pure nega s stesso, l in quel momento e in quel luogo dello spirito dove il singolo scopre di ospitare una pluralit — di interpretare i pensieri, gli stati d’animo altrui, di averli in s, di immedesimarsi negli altri ed assumere le loro varie e differenti forme. Infatti la poesia spesso doppio o appunto pluralit espresse dall’uno. Da un’anima che quando scrive ambivalente o addirittura plusvalente: un individuo che si specchia ed intravede un altro s stesso che la sua antitesi, come accade al William Wilson di Edgar Allan Poe. Cos come il timido eccezionalmente rinuncia alla sua natura per lo slancio verso l’altro, per aprirsi al mondo, anche il poeta scrive per spogliarsi in parte della sua timidezza e lasciarsi scoprire e indagare dall’altro. Nonostante Eugenio Montale abbia scritto: Se i poeti scrivessero con lo scopo di essere capiti, tutti noi poeti avremo da tempo smesso di scrivere poesie — quasi a voler esprimere una incomunicabilit del mezzo poetico, della forma d’arte-poesia. Sarebbe allora quasi ossimorico definire la poesia un mezzo, come ho scritto. Eppure ogni forma d’arte, proprio perch espressione di un fine, esattamente un mezzo; ed in quanto mezzo d’espressione, portatore di una forza comunicativa — che essa venga capita oppure no. Proprio come quando si ha a che fare con i timidi: occorre compiere uno sforzo in pi per relazionarsi con loro; e cos opportuno munirsi, oltrech del naturale intuito cognitivo e sentimentale (senza il quale non c’ sforzo che tenga) di un impegno speciale per entrare in rapporto con la poesia. Un impegno che somigli un po’ a quello di un innamorato che si sforza di comprendere la persona oggetto del suo amore, anche quando questo appare impossibile.
Attenzione, per. La poesia, cos come non pu ridursi a una striminzita e per questo snaturata prosa che a differenza di quella canonica va a capo un po’ pi spesso, non pu neanche assumere i tratti di un vagito che richiama attenzione tramite lo spargimento casuale di rime e suoni privi di significato. Timidezza, infatti, non vuol dire incapacit di spiegarsi al mondo. Significa piuttosto una reticenza istintiva nel farlo: proprio perch il timido, cos come il poeta, avverte ancor pi prepotente rispetto alla norma un forte bisogno di comunicazione. il bisogno esasperato di comprensione che trova risoluzione e pace nella sua espressione finita (e pure infinita, ricordo il premio Nobel per la letteratura Iosif Brodskij: Poeta qualcuno per cui ogni parola non la fine ma l’inizio di un pensiero) e compiuta di verso. Del resto un verso altro non che una disposizione armonica di pi parole, avente un significato. Il senso, l’etica della poesia, il suo spirito vitale. Dunque, l’armonia tra suono e senso rappresenta la chiave capace di aprire le porte della poesia. La chiave che trovi un accordo, una simbiosi perfetta tra corpo e anima: l’essenza pi propria di una composizione. Se questa costituita soltanto dal corpo infatti risulter vuota — se invece solo anima sar piena, ma priva del corpo che la esprima, della forma di espressione che la traduca al mondo; che le conferisca quella speciale energia al tempo stesso primitiva e raffinata, semplice e pure ricercata.
Il silenzio, anche se infinitesimale nella poesia, realizza il distacco fondamentale tra un verso e l’altro. Il silenzio tra i due versi metaforico rispetto all’approccio del timido alla vita: richiama il suo ritmo esistenziale, che non si impone con prepotenza ma avanza con fermezza e discrezione. Non incalza come fa invece il flusso di coscienza (stream of consciousness), il monologo interiore che investe la mente; al suo interno, ogni verso non trattiene solo un momento, come fa la riga della prosa, ma un’infinit di momenti: lunghi periodi, mesi, anni, interi mondi. Il verso fagocita il tempo, rimarcando una disperata necessit di controllarlo. Marina Cvetaeva che nella sua esistenza ha condizionato il suo sguardo sul tempo, ne aveva paura proprio perch: Corre sempre, corre solo perch corre, corre per correre ma secondo la poetessa non corre in nessun posto. Nella sua opera Il poeta e il tempo definisce quest’unione un matrimonio forzato, come se i poeti fuggissero costantemente dal tempo, non sapessero gestirlo: volessero controllarlo, senza mai riuscirci. La sublimazione della pretesa paradossale rispetto ad una forza atemporale come la poesia di voler controllare qualcosa di ingestibile come il tempo, l’ho trovata nella risposta di Brodskij alla domanda su quali fossero gli argomenti pi interessanti su cui scrivere: Le cose in transizione, ovvero le cose ferme nel tempo. Il silenzio, la pausa istantanea che lo costituisce, diviene uno strumento della meraviglia (uno dei tre principi e fini, con l’ispirazione e l’incanto, della poesia, individuati tra gli altri pensatori anche da Benedetto Croce). il vuoto da cui la meraviglia attinge la parola e in cui la parola affonda, appena la si pronunciata. Il silenzio, come il tacet in partitura, fa parte della metrica poetica: assume la forma della pausa nell’ambito del tempo, e medesimamente del vuoto, del precipizio nella dimensione dello spazio. Hofmannsthal, grandissimo poeta e scrittore, dir infatti: Provavo un inesplicabile disagio solo a pronunciare le parole spirito, anima o corpo, per spiegare la potenza delle cose mute sul reggimento della grammatica, della ragione.
Max Kommerll a proposito delle caratteristiche di pluralit dell’uno e transizione (di Brodskij) analizza la poetica di Friedrich Hlderlin cos: Una disposizione che accordata unicamente ed incomparabilmente in modo da cogliere tutto l’esistente come unisono del molteplice; che accordata in modo da integrare in quest’unit, in s tanto divisa quanto armoniosa, ogni singolarit che incontra; che accordata infine in modo da integrare in questo tutto anche il proprio s, che meno si delimita e si afferma di quanto in apertura sia pronto alla transizione (bergang). E questa propriet dell’animo, di essere per s solo nella transizione, risponde alla propriet del tutto di gioire della propria interezza solo dividendosi in molteplicit. Ecco un altro paradosso. Se il tutto gioisce della divisione, della pluralit — il poeta gioisce dell’integrazione di s e del mondo — e questo non che un sinonimo filosofico per tradurre la grazia. Egli vedeva la vita interiore come un alternarsi di distacco e ricongiunzione; la prima lo stato propriamente geniale dell’animo poetico, la seconda il nome del dolore per Hlderlin. Questa virtuosit tende al di l della vita condizionata cio della quotidianit, della vita pratica e colui che vi esperto fino alla maestria (il poeta) diviene maldestro nelle faccende umane. Proprio come il timido che teme di non sapersi spiegare e di non mettere in atto la propria tendenza, il pensiero che ha dentro.
La metrica la volont di ordinare il pensiero che era a met, insicuro, ancora circoscritto alla condizione di entit astratta. Il pensiero timido quando permane nello stato intermedio di Aufhebung (come nella dialettica hegeliana) che al contempo conserva e supera il momento precedente: il termine tedesco si traduce infatti con superamento. Il pensiero perci supera il suo travaglio divenendo insieme di parole scritte e con un preciso significato, con uno specifico fine. Ci da cui il pensiero astratto si spoglia per divenire concreto su carta sono tutti quegli orpelli in esubero che non rendono chiaro il suo contenuto, il suo senso ultimo. Il pensiero, libero dalle parole e dalle insicurezze di cui non ha bisogno per aprirsi verso l’altro da s, sceglie (come per quello dominante di Leopardi) per s stesso un ordine cosmico: l’ordine metrico della poesia. Anche la prosa ha bisogno di una sua metrica, altrimenti le frasi che scriviamo non avrebbero suono e non risulterebbero incisive nel senso. Ma l’ordine metrico della poesia marziale e, paradossalmente, proprio in virt di questo, pi libero. L’ordine della metrica non una gabbia ma una regola di libert, che consente al pensiero di esprimersi e volare oltre il recinto del caos da cui originato. Ripenso a Mario Luzi quando scriveva Vola alta, parola perch per lui la parola poetica sogno che esclama la cosa nel buio della mente.
Come per Rilke, il compito della poesia esprimere le cose, esclamarle e farle splendere nell’oscurit. E poi Thomas S. Eliot, che cercava il punto d’intersezione del senza tempo col tempo. Molti confondono la libert della poesia con la negligenza rispetto alle sue regole; invece, proprio perch (la poesia) comporta una maggiore disciplina che si rende pi libera. il suo ermetismo viscerale a lanciarla sul foglio e soprattutto sulle labbra di chi la legge. La poesia infatti pensata e prodotta per essere letta. Ecco perch l’estetica, la sua forma, abbraccia il suo contenuto, l’etica, e raggiunge emotivamente chi l’ascolta prima ancora del messaggio che porta dentro. Questo abbraccio il frutto, in ultima analisi, della comunione tra timidezza e scrittura: un legame che si risolve nella verit. Il timido , ipso facto, genuino: non pu simulare la sua timidezza; pu fingere al contrario disinvoltura, semmai. Lo scrittore, se un bravo scrittore, autentico. Questo non significa scrivere cose realmente accadute e nemmeno verosimili; ma scrivere cose originali: scrivere cio solo quanto realmente creato e pensato dalla mente dello scrittore. Ecco che ritorna prepotente l’estetica (la forma) imprescindibile rispetto all’etica (il contenuto). Brodskij appunto riteneva che non ci fosse niente di pi facile che simulare i nobili principi: l’etica pu facilmente essere simulata. Ecco perch la forma assume quasi i tratti di sostanza nel caso della poesia. Perch non basta scrivere un bel messaggio; c’ bisogno assoluto dell’estetica, perch solo la forma non pu in nessun caso essere imitata. Se ci che scriviamo infatti non l’abbiamo prima necessariamente assunto, se quel concetto non proviene dalla nostra mente, non risulter ben detto e dunque si spoglier della sua forza comunicativa e del suo stesso senso. Quando scriviamo il vero, ci che noi stessi abbiamo creato, questo sar avvertito e compreso dal lettore. Quando invece il concetto scritto falso, anche la sua forma sembrer artefatta, proprio come il suo contenuto. Se il poeta scrive ci che non pensa, non compie quel viaggio del pensiero cui facevo riferimento e si affida a ci che non conosce perch non gli appartiene, a formule cosiddette standard, allora non arriver al lettore. Un po’ come la timidezza, che sempre vera, e che proprio per questo ci appare cos eloquente: la riconosciamo immediatamente quando vi siamo dinanzi. Mentre l’affabilit, quando costruita, una simulazione del rapporto sociale, dunque non rende possibile n tantomeno profonda l’interazione tra individui. Se infatti lo scrittore conosce veramente ci di cui scrive, produrr per forza di cose un risultato originale e dal brillante potere comunicativo. Non a caso, la verit si serve sempre ed unicamente di mezzi originali, appartenenti ad un unico stile: alla mente di un timido che ha la grande ambizione di farsi comprendere attraverso i suoi versi.
L’appuntamento
Nell’ambito della Milanesiana, rassegna ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi giunta alla venticinquesima edizione, sabato 13 luglio a Cervia (Ravenna) si terr una serata di musica e parole, in collaborazione con Regione Emilia-Romagna. In piazza Garibaldi alle 21, la giornalista e autrice Maria Sole Sanasi D’Arpe legger il testo La timidezza della poesia (che anticipiamo qui sopra). Il suo intervento — prologo della serata — esplora il tema della timidezza e dei suoi opposti, attraverso esempi di poeti come Leopardi e riflessioni su autori contemporanei. A seguire, il concerto di Raphael Gualazzi con la ForlMusicaOrchestra, diretta dal maestro Stefano Nanni, con la partecipazione di Danilo Rossi alla viola. Introduce Elisabetta Sgarbi.
11 luglio 2024 (modifica il 11 luglio 2024 | 21:12)
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