«Grazie, Occidente», le due parole proibite

È di moda descrivere l’industrializzazione come l’Apocalisse ambientale. Ma in Africa e in altri Paesi le innovazioni hanno contribuito a creare benessere

Grazie, Occidente. Sono due parole che non sentiremo mai, cos accoppiate. Non in quest’epoca storica, per lo meno. un’espressione proibita, un tab del nostro tempo che pure si considera tollerante. Grazie, Occidente non si pu dire, a rischio di attirarsi addosso una fatwa laica, l’equivalente della condanna che sacerdoti islamici scagliano contro chi osa rappresentare il Profeta.

Sono vicino ad Arusha, in Tanzania, quando quelle due parole mi vengono in mente, scandalosamente unite. Ho lasciato da tempo la citt col suo smog, le motociclette, i mercatini brulicanti, e viaggio nella campagna profonda. Terra dei Masai (oltre a tante altre trib), che turisti dal mondo intero attraversano di fretta per raggiungere i parchi naturali che sono meraviglie del mondo: Serengeti, Ngorongoro, Tarangire. Neanch’io resisto all’attrazione di quei tesori, versione contemporanea dell’Arca di No, dove osserviamo nel loro habitat naturale tante specie animali protette, non pi in via di estinzione grazie alla severa azione contro il bracconaggio; possiamo aggirarci tra leoni e leopardi, elefanti e giraffe, rinoceronti e ippopotami, impala, gnu e zebre, dentro stupefacenti scenari segnati dai maestosi baobab, da crateri di vulcani spenti, montagne imponenti come il Kilimangiaro.

La frase tab mi viene in mente una prima volta quando vedo un giovane pastore Masai, a guardia del suo gregge di capre, con l’occhio sul suo cellulare. S, in questa riproduzione del Giardino dell’Eden, in quest’angolo di natura pressoch incontaminata, il ragazzino aggrappato a quel gadget tecnologico perch ha campo, il collegamento funziona, anche se per ora solo un 3G, meno veloce e meno potente rispetto a quello a cui siamo ormai abituati. Quel cellulare il suo collegamento con il resto del mondo, gli apre orizzonti, popola le sue giornate con qualcosa di nuovo oltre al mestiere di accudire il bestiame. Non moltissimo, non pu certo supplire a un’istruzione ancora spaventosamente carente, ma uno strumento per spezzare la solitudine, e una finestra su altre parti del mondo. Qualcuno nel suo paese sta usando lo smartphone per conoscere le previsioni meteo e pianificare meglio i raccolti; o per gestire qualche piccola attivit commerciale, magari rivolta proprio a noi turisti. Ecco: stato l’Occidente – dove stato inventata la telefonia mobile – a portare quel pezzo di tecnologia fino a qui. Insieme a tutto il male che l’Occidente ha fatto all’Africa e agli africani – da molti anni l’unica cosa che ci interessa esaminare – vuoi vedere che ci sia un’altra faccia della medaglia?

Il tema m’insegue quando osservo un po’ pi da vicino la realt dei Masai, uno dei tanti gruppi etnici della Tanzania e dei Paesi vicini, con insediamenti ancestrali in tutta l’area vicina al Lago Vittoria (anche se le ricerche paleontologiche fanno risalire l’origine pi antica dei Masai al Nordafrica, all’attuale Egitto, e la loro lingua appartiene in effetti al ceppo nilotico). Il ceto medio urbano di Arusha tende a distinguere sbrigativamente i Masai tradizionali dai Masai moderni, separati dalla conservazione (i primi) o dal graduale abbandono (i secondi) dei costumi tribali. Tuttavia la linea di demarcazione non cos netta. E si evolve di continuo in favore dei secondi.

In un villaggio Masai tradizionale vengo invitato dentro le capanne tonde che sono i loro alloggi. Minuscole, colpiscono non solo per l’angusta esiguit degli spazi in cui convivono i nuclei familiari, ma anche per i problemi strutturali, igienici, sanitari. La materia prima contiene terra e sterco animale, quest’ultimo sembra avere delle doti tra cui quella di allontanare un po’ le zanzare portatrici di malaria. I tetti di paglia, come le pareti di fango e letame, sono dei buoni isolanti termici che proteggono dagli eccessi del caldo e del freddo. E naturalmente questi materiali edili non costano nulla visto che abbondano in natura o sono sottoprodotti della pastorizia. Le qualit si fermano qui. Come mi venne spiegato gi durante un altro viaggio in Etiopia, queste capanne sono laboratori di malattie polmonari perch gli abitanti si scaldano e cuociono il cibo bruciando legna o carbonella in piccoli forni-bracieri al centro dell’abitazione. Quindi vivono e dormono avvolti in un fumo permanente. Gli incendi sono in agguato, talvolta mortali. I tetti possono essere distrutti da temporali violenti. I Masai tradizionali, per quanto legati ai costumi ancestrali, hanno capito questi difetti. A fianco alle loro capanne, si vedono sorgere sempre pi spesso delle piccole costruzioni di cemento, mattoni, lamiera. Misere e brutte, ma pi pratiche. Anche la lamiera, dovremmo metterla nell’elenco dei benefici occidentali? La banale, orrenda lamiera: i Masai le hanno scoperto delle virt di tenuta stagna, che la paglia non ha.

Dai gruppi di turisti occidentali che attraversano velocemente quelle aree, ogni tanto viene espresso rammarico per l’abbandono del tradizionale e il passaggio al moderno. La volgarit estetica delle nuove casupole di cemento e lamiera viene deprecata come uno dei tanti mali della occidentalizzazione. Com’era romantico morire da giovani, di enfisema o di tumore ai polmoni, abitando nelle capanne! I Masai, da quel romantico passato cominciano a prendere le distanze; siamo noi a idealizzarlo.

Ho cominciato dal cellulare e dalla lamiera per soffermarmi su due cose banali e onnipresenti. L’elenco dei progressi portati dall’Occidente – ohib, sto bestemmiando di nuovo – molto pi lungo, oserei dire sterminato. C’ l’imbarazzo della scelta. La malaria sta diminuendo in alcune regioni dell’Africa che ho visitato. Le ragioni della sua ritirata sono molteplici: si va dalle bonifiche di zone paludose alla distribuzione di reti anti-zanzare, dalla maggiore diffusione dell’aria condizionata (negli ambienti urbani), alle cure pi accessibili; infine ci sono i recenti progressi sul fronte del vaccino. Tutti questi miglioramenti, tutti senza eccezione, sono dovuti a tecniche occidentali, aiuti occidentali, campagne finanziate e promosse dall’Occidente o da organizzazioni internazionali che portano le nostre impronte.

Ma i progressi nella lotta contro la malaria sono relativamente recenti. Il progresso igienico-sanitario portato dall’Occidente ben pi antico. Comincia nell’Ottocento, prosegue per tutto il Novecento, continua ai nostri giorni. Si va dalle moderne fognature alle infrastrutture per distribuire acqua potabile, dall’aspirina agli antisettici e antibiotici. Se la longevit media degli africani si allungata, se la mortalit delle madri al parto e i decessi dei neonati sono diminuiti, lo si deve esclusivamente alla penetrazione di una medicina occidentale che ha soppiantato – non sempre e non del tutto, purtroppo – i rimedi somministrati dagli stregoni. Per evocare un altro tipo di vaccinazioni, la semplicissima anti-rabbica ha estirpato un male che mieteva vittime sia tra gli umani che tra gli animali. Roba nostra pure quella.

proibito evocare questi meriti, perch in Occidente fa notizia solo la denuncia del nostro egoismo sanitario, o dell’avidit di profitto di Big Pharma. Certo gli ospedali di Arusha non sono all’altezza di quelli di Manhattan o di Milano, e i medicinali pi avanzati vengono spesso distribuiti in precedenza ai paesi ricchi e solventi; ma il quadro medico dell’Africa incredibilmente migliore oggi rispetto a cinquant’anni fa, per non parlare dell’epoca pre-coloniale.

Senza sottovalutare il ruolo prezioso di ong (sempre occidentali) come Medici Senza Frontiere o Emergency, giusto ricordare che questi eroi umanitari sono solo la punta dell’iceberg: possono aiutare nella misura in cui hanno accesso al vasto giacimento di scoperte mediche e farmaceutiche maturate nelle nostre universit e nella nostra industria. Dimostriamo una certa faziosit quando da una parte esaltiamo – giustamente – Medici Senza Frontiere e Emergency, d’altra parte demonizziamo un miliardario come Bill Gates che distribuisce gratis reti anti-zanzare e vaccini. Il capitalismo (occidentale) essendo malvagio per definizione, meglio parlare delle foto che ritraggono Bill Gates con il defunto stupratore seriale Jeffrey Epstein.

L’agricoltura un altro settore dove la lista dei benefici occidentali sterminata. Cinquant’anni fa nessuno avrebbe immaginato che fosse possibile sfamare un miliardo e mezzo di africani. Oggi ci stiamo avvicinando a questo traguardo, l’incidenza mortale della fame e della denutrizione continua ad arretrare, in percentuale sulla popolazione del continente. I fertilizzanti chimici, le innovazioni sulle sementi, l’uso delle biotecnologie e delle manipolazioni genetiche, tutto questo aveva gi generato una rivoluzione agricola stupefacente in India, ora in parte si sta allargando all’Africa.

di moda descrivere l’industrializzazione occidentale come un’Apocalisse ambientale, l’inizio della distruzione del pianeta, l’orrore supremo che ha seminato inquinamento ovunque, Africa inclusa. La verit che il modello energetico dell’Africa ancestrale – pre-colonizzazione – era molto pi inquinante. Se un intero continente che oggi ha un miliardo e mezzo di abitanti dovesse riscaldarsi e cucinare come fanno i Masai tradizionali, l’inquinamento da legno e carbonella sarebbe molto peggiore di quello occidentale. Aver portato in Africa prima le centrali a carbone, poi il petrolio, poi il gas naturale, l’idroelettrico e il nucleare, il solare, l’eolico, stato un modo in cui l’Occidente ha traghettato l’Africa verso stadi progressivamente pi efficienti e meno inquinanti.

Non basta. Ora bisogna andare avanti sulla de-carbonizzazione. Ma il progresso merito nostro. La diffusione dell’energia elettrica, fin dalle origini con la vocazione di offrire un’alternativa ai motori a combustione, la dobbiamo all’inventore e capitalista Thomas Edison, non al Wwf. I pannelli solari, l’auto elettrica, tutte queste innovazioni sono germinate prima nei laboratori di ricerca pubblici e privati dell’Occidente, poi negli investimenti dei nostri capitalisti. Non stata Greenpeace a inventare la batteria al litio; n c’ riuscita la pianificazione socialista sovietica o quella di Mao Zedong in Cina. Eppure l’intero movimento ambientalista odierno intriso di ideologia anti-sviluppo, anti-capitalista e anti-occidentale.

Grazie Occidente? Al contrario! Mentre attraverso la Tanzania le oligarchie politiche che comandano in Africa stanno mettendo in scena l’ennesimo processo politico all’Occidente, dentro il Palazzo di Vetro, nella citt dove abito. L’assemblea generale dell’Onu rimbomba delle arringhe pronunciate dai leader del Grande Sud Globale – spesso con il Sudafrica in un ruolo di punta – per condannare l’appoggio dell’Occidente a Israele. Veniamo associati nel crimine di genocidio del popolo palestinese. Siamo sempre i soliti: imperialisti, oppressori, violenti, criminali.

Sorvolo sulle convergenze tra l’ideologia anti-occidentale di molti leader africani – spesso gli stessi che hanno dirottato i nostri aiuti nei loro conti bancari in Svizzera o a Dubai – e la dottrina identica che viene insegnata a Harvard per 70.000 dollari di retta annua, nel tempio del politicamente corretto.

Voglio invece ricordare due precursori non bianchi del pensiero anti-occidentale. Tutti e due mi tornano in mente anche perch sono legati ai miei ultimi viaggi in Africa. Il primo e pi importante il Mahatma Gandhi, il secondo fu il leader che port la Tanzania all’indipendenza, Julius Nyerere.

La memoria di Gandhi rilevante in Africa, per tante ragioni. Visse in Sudafrica nella vasta diaspora indiana, vi lavor da giovane come avvocato, speriment l’apartheid sulla propria pelle, cominci a maturare in questo continente la sua prima coscienza politica. Gandhi fu il regista e l’eroe – alla fine il martire – dell’indipendenza indiana, rispettato e ammirato nel mondo intero, soprattutto nei paesi che come l’India dovettero liberarsi del giogo coloniale. E certo che il colonialismo andava combattuto e sconfitto! Certo che noi dobbiamo essere consapevoli delle nostre responsabilit storiche. Anche se ridicolo che oggi la conquista territoriale e il dominio su altri popoli vengano ridotti a crimini occidentali, mentre li praticarono l’impero arabo e quello ottomano, lo praticano tuttora Cina e Russia. Gandhi viene celebrato a ragione per i suoi metodi di lotta, fondati prevalentemente sulla disobbedienza civile, la resistenza passiva, i grandi scioperi, la mobilitazione pacifica del popolo. Per Nelson Mandela il Mahatma fu una fonte di ispirazione nella lotta al regime segregazionista bianco del Sudafrica.

C’ per un lato oscuro di Gandhi. Ricordando il suo impatto storico si sorvola con indulgenza sulla sua simpatia verso Adolf Hitler. Comprovata da un carteggio, avvenne all’insegna del principio – pi machiavellico che gandhiano – per cui il nemico del mio nemico mio amico. Pur di indebolire l’impero inglese Gandhi non esit a flirtare con uno dei peggiori criminali nella storia del Novecento.

Ma se l’idillio con il leader nazista fu solo un episodio, c’ un aspetto del gandhismo che strutturale: l’anti-capitalismo mescolato a un’adorazione per modelli economici arcaici. Gandhi predicava la difesa del telaio domestico nei villaggi, contro l’industria tessile creata dagli inglesi. La sua era una visione quasi religiosa del telaio a mano, come simbolo di un’India pura e autentica, non contaminata dal demone della produttivit e del consumismo. Il suo ideale era un’India avvinghiata alla tradizione rurale, impermeabile alle innovazioni tecnologiche. Era un errore gravissimo, superato per fortuna dai suoi successori alla guida del paese. Se l’India fosse rimasta quella dei telai nelle case e degli aratri di legno, oggi la sua popolazione vivrebbe nella miseria, nella fame e nella sofferenza. I tanti miracoli economici indiani – dal boom agroalimentare fino al software informatico – sono stati possibili ripudiando il gandhismo. Il quale per non affatto morto. Le lite intellettuali di tutto il mondo trasudano ostilit verso il capitalismo e nostalgia verso un passato idealizzato. Quello dove una mamma indiana doveva fare dieci figli anche perch la met non sarebbero sopravvissuti oltre pochi mesi o pochi anni dalla nascita.

L’India e l’Africa hanno storie che s’intrecciano da millenni, grazie ad antichissimi legami commerciali. Tuttora un retaggio ben visibile di quella storia la diaspora indiana onnipresente anche in Tanzania (erano indiani del Tanganyka i nonni dell’attuale premier britannico Rishi Sunak), nonch gli investimenti delle multinazionali indiane in tutta l’Africa orientale. In certe parti della Tanzania pi facile mangiare la cucina indiana che quella locale.

Questo introduce il secondo personaggio-chiave, Julius Nyerere, protagonista dell’indipendenza della Tanzania e primo presidente. Ero adolescente quando m’innamorai delle sue teorie, allora all’apice del prestigio. Perci con una certa emozione che attraverso la citt di Arusha. Fu resa celebre nel mondo intero dalla dichiarazione di Arusha con cui Nyerere nel 1967 lanci urbi et orbi il suo manifesto del socialismo africano, anzi panafricano. Ujamaa, fratellanza, era la parola-chiave. (Devo auto-censurarmi, o posso ricordare che Fraternit era stato uno dei valori della Rivoluzione francese nel 1789?) Il socialismo era gi in voga, nel 1967 dominava in Unione sovietica, in Cina, a Cuba, e in tante altre parti del mondo. Nyerere non vi aggiunse delle ricette originali. Per gli diede un retroterra storico, quello s originale. Nella dichiarazione di Arusha lui teorizzava che il socialismo aveva radici ancestrali in Africa, che era l’organizzazione economica e sociale pi consona alle tradizioni del continente.

Quella di Nyerere poteva essere un’astuzia politica, come tale comprensibile e legittima: attribuire al socialismo delle remote radici africane serviva a proteggere il suo esperimento politico dall’accusa di importare un’ideologia straniera. Era per un falso storico. Nella storia antica dell’Africa si possono trovare delle forme di comunismo primitivo, per esempio una sorta di propriet collettiva delle terre; a fianco per a forme di feudalesimo feroce, con diseguaglianze oppressive e gerarchie autoritarie. Lo schiavismo fu praticato molto prima che in Africa mettessero piede i primi arabi o bianchi europei, e fu all’origine di grandi fortune, imperi autoctoni, dinastie indigene arricchite dal traffico di prigionieri.

Nyerere nella dichiarazione di Arusha raccont una favola bugiarda. impressionante quanto sia diffusa ancora oggi l’idea che sfruttamento e diseguaglianze siano invenzioni occidentali. A suo onore e merito, Karl Marx non predic mai simili idiozie. Per lui il capitalismo era stato una formidabile macchina di progresso materiale; pensava che il socialismo avrebbe potuto portare quel progresso materiale ancora pi avanti, unendovi giustizia ed equit. La sua visione non ha avuto successo in nessuna delle forme reali che il socialismo ha sperimentato. Inclusa la strada percorsa da Nyerere in Tanzania. I progressi nella lotta contro la malaria, o contro l’Aids e cento altre malattie, continuano a venire da modelli diversi. I nostri.

Perfino l’idea dei parchi naturali protetti, poi abbracciata con entusiasmo da Nyerere, gli venne suggerita con insistente passione da scienziati tedeschi… cio di quella ex potenza coloniale che aveva brevemente governato l’allora Tanganyka. Uno dei pi celebri difensori della fauna e flora locale fu Bernhard Grzimek, autore del best-seller Il Serengeti non morir da cui trasse l’omonimo documentario, vincitore dell’Academy Award nel 1959. Grzimek perse il figlio Michael in un incidente aereo mentre studiava le grandi migrazioni. Da parte loro i guerrieri Masai – com’ tipico per popoli di origine nomade e dediti alla pastorizia – ereditano un’ostilit implacabile verso leoni leopardi iene sciacalli e aquile, colpevoli di attentare all’integrit delle loro greggi di capre e mandrie di mucche. L’idea del buon selvaggio che vive in armonia con la natura nel Paradiso terrestre lasciamola ai disegni animati della nuova Disney politicamente corretta.

Nella realt l’armonia tra Masai e natura era pi o meno di quel tenore che caratterizza i rapporti fra i grandi felini predatori e gli erbivori ungulati. Una delle ragioni per cui da centinaia di migliaia di anni gli esseri umani sono costretti a migrare, che talvolta il buon selvaggio impoverisce le risorse dell’ecosistema in cui abita, ed costretto a cercarne un altro da sfruttare. Per capire come stanno le cose bisogna studiare il complesso patto sociale con cui le autorit di governo della Tanzania regolano i movimenti dei pastori Masai per tenerli fuori dalle riserve protette, dopo decenni di conflitti. Il turismo occidentale – questa cosa oscena di cui ci vergogniamo come di una piaga – si sviluppato in parallelo con una coscienza ambientalista che ha portato la Tanzania a misure drastiche, come il divieto totale dei sacchetti di plastica. Esiste ancora una forma di bracconaggio di lusso, partite di caccia grossa organizzate con il permesso del governo dietro lauto compenso: vedono di solito protagonisti dei ricchi arabi.

Grazie Occidente, per, resta un’espressione impronunciabile, un’oscenit. Per quanto tempo ancora? Forse stiamo assistendo a una legge del contrappasso. Dopo esserci auto-esaltati, nell’Ottocento e nel primo Novecento, come una civilt superiore, con la missione di sollevare il resto dell’umanit dalla barbarie primitiva, ora stiamo praticando l’eccesso opposto: non siamo pi capaci di vedere, capire e insegnare quanto la scienza e tecnologia occidentale, l’organizzazione economica occidentale, abbiano contribuito a creare benessere per altri popoli. N la prima narrazione n la seconda catturano la realt.

I nostri genitori e nonni cresciuti nel mito della superiorit bianca erano a modo loro ciechi di fronte alle malefatte dell’imperialismo europeo; i nostri figli rischiano per di essere indottrinati solo sulla malvagit dell’uomo bianco. Il pendolo oscilla da un estremo all’altro: e questo non ci rende migliori.

7 gennaio 2024, 13:00 – modifica il 7 gennaio 2024 | 13:00

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