Prince of Persia The Lost Crown Recensione: finalmente un ottimo PoP

Il titolo Ubisoft segna il ritorno in grande stile di una delle saghe più iconiche del mondo dei videogiochi... anche se manca il vero Principe.

Diverso eppure profondamente familiare. Prince of Persia: The Lost Crown, il nuovo capitolo della celeberrima saga nata dalla geniale mente di Jordan Mechner, è un progetto ardimentoso che mira a scardinare gran parte dei fondamenti ludici tradizionali del brand per confezionare un’esperienza del tutto fresca e coinvolgente. A dispetto dell’accoglienza un po’ tiepida riservatagli dalla frangia più conservatrice dei fan, il nuovo progetto di Ubisoft Montpellier si è rivelato un’autentica gioia sia da giocare che da vedere in movimento.

Del resto stiamo parlando dello stesso team che ha portato alla luce alcune delle gemme più scintillanti del catalogo dell’azienda transalpina, come Beyond Good & Evil (qui lo speciale su Beyond Good and Evil), il dolceamaro Valiant Hearts e i due capitoli più recenti della saga di Rayman, Origins e Legends, entrambi platform di eccellente fattura. È dunque il momento di scoprire il nuovo inizio di Prince of Persia, un titolo che mescola sapientemente il DNA del franchise con un’inedita essenza di stampo metroidvania che ha saputo rapirci fin dalle primissime battute.

La corona insanguinata

L’intreccio di The Lost Crown si discosta nettamente da quello delle precedenti iterazioni della saga, e pone al centro dell’inquadratura un protagonista nuovo di pacca. Laddove il Principe di Persia viene relegato al ruolo di comprimario, ad emergere è una squadra di guerrieri d’élite scelti tra i più dotati combattenti al servizio della Regina Thomyris: gli Immortali.

Tra i ranghi di questo sacro ordine, composto da sette potenti soldati e capitanato dal leggendario Leone Bianco Varham, trova una nuova casa Sargon, il nostro alter ego. Quest’ultimo, un formidabile spadaccino dal passato oscuro, viene allevato dagli Immortali con il preciso scopo di proteggere la corona a qualunque costo, in modo da assicurare un futuro florido all’impero persiano.

Un giorno, però, un manipolo di nemici dall’identità sconosciuta assalta il palazzo reale e rapisce il Principe Ghassan conducendolo presso l’Antica Cittadella nel cuore del mistico monte Qaf, lo stesso luogo che, in un’epoca passata, ospitava il potente Simurgh, protettore della Persia e dio del tempo e della conoscenza. A più di 30 anni dalla scomparsa dell’entità, tutto ciò che resta della Cittadella sono decadenti vestigia dell’epoca d’oro dell’impero, ora disseminate di soldati nemici e strane creature.

C’è pure un altro problema: sul monte Qaf il tessuto stesso del tempo sembra essersi drammaticamente sfilacciato, portando a bizzarri paradossi temporali e inquietanti fenomeni paranormali. In questo contesto tutt’altro che accogliente, Sargon e gli Immortali dovranno cercare di trarre in salvo il Principe Ghassan affrontando la sfida più ardua della loro vita: una missione disperata che metterà a dura prova il loro rigido addestramento e perfino i rapporti che li legano. Riusciranno i sette a proteggere la Persia da questa nuova, soverchiante minaccia? La trama di The Lost Crown presenta una scrittura tanto lineare quanto affascinante, raccontata sia attraverso brevi dialoghi e filmati realizzati con il motore di gioco che facendo un ampio uso della narrativa ambientale. Durante l’esplorazione è inoltre possibile reperire un gran numero di documenti, lettere e appunti nonché leggere le incisioni sui monumenti sparsi nella mappa di gioco per ottenere gustosi retroscena sugli eventi che si sono avvicendati nel passato della Cittadella e nelle vite dei componenti del gruppo.

Il team di Ubisoft Montpellier ha saputo tratteggiare un racconto piacevole e avvincente, condito con la giusta dose di colpi di scena e impreziosito da dialoghi ben scritti e cadenzati, che non incidono mai in modo negativo sul flusso dell’azione. Il cast di personaggi, seppur privo di qualsivoglia approfondimento psicologico, vanta un character design di notevole fattura capace di conferire agli Immortali un’aura eroica e solenne, coerente con la caratterizzazione corale dei più grandi guerrieri della Persia.

Non reboot, né prequel, né sequel, dunque: The Lost Crown è una nuova incarnazione della serie che ne eredita l’immaginario e le atmosfere, svincolandosi però in toto dalla lore del capostipite, dalla trilogia delle Sabbie del Tempo (qui la nostra intervista a Patrice Desilets) o dal controverso capitolo apparso sulla settima generazione di console.

Certo, non siamo di fronte a un ordito narrativo che brilla particolarmente in termini di originalità o di estro autoriale, ma il tutto risulta comunque articolato e interessante a sufficienza da sostenere senza alcuna fatica le circa 15/20 ore necessarie a portare a termine la campagna principale.

L’esplorazione

Come anticipato in apertura, Prince of Persia: The Lost Crown è un metroidvania a scorrimento laterale 2.5D che presenta tutti i tratti tipici del genere, a partire dalla mappa da esplorare sbloccando nuovi oggetti e poteri, passando per le meccaniche legate allo sviluppo del personaggio fino ad arrivare alle fasi di combattimento, che qui assumono notevole una rilevanza.

Ma andiamo per gradi. La prima scelta a cui veniamo messi di fronte, una volta avviata una nuova partita, è quella relativa alle due modalità di gioco previste: Esplorazione e Guidata. La prima mantiene intatta la filosofia classica dei metroidvania e lancia il giocatore in un’avventura senza particolari riferimenti visivi che possano indicargli la strada da percorrere, mentre la seconda è pensata appositamente per un pubblico meno avvezzo a questo tipo di dinamiche e pertanto offre chiare indicazioni sui prossimi passi da compiere.

Come se non bastasse, Ubisoft Montpellier ha ben pensato di includere anche un selettore di difficoltà completamente personalizzabile, che permette di regolare a piacimento il bilanciamento dell’avventura operando sui valori di forza dei nemici, sulla finestra d’esecuzione delle parate, sui danni ambientali subiti dal protagonista e tanto altro.

Si tratta di un’implementazione molto intelligente che consente a chiunque di approcciarsi a The Lost Crown, indipendentemente dal livello di abilità e dall’esperienza pregressa con questo tipo di videogiochi. Davvero un ottimo tocco. Una volta impostati i parametri, è tempo di immergersi nell’avventura di The Lost Crown e iniziare a saggiare il lavoro svolto dall’azienda francese su questo nuovo episodio di Prince of Persia. Ciò che salta subito all’occhio, fin dai primi minuti in compagnia di Sargon, è la spiccata sensazione di mobilità garantita dalle abilità innate del protagonista. Il genere dei metroidvania, per chi non lo sapesse, fa largo utilizzo di sezioni di platforming la cui qualità può essere un’importantissima discriminante tra il successo e il fallimento dell’intera operazione. In questo caso, l’idea di mettere il giocatore al comando di un personaggio tanto agile e scattante si traduce da subito in un’esplorazione degli scenari scorrevole e appagante, resa ancora più gradevole da un level design di prim’ordine che stimola il pensiero laterale in più di un’occasione. Siamo a livelli di fluidità assimilabili a quelli dell’ottima serie di Ori, tanto per intenderci (a proposito di Ori, ecco l’anteprima di No Rest for the Wicked, gioco dei suoi creatori).

Lo scenario che fa da sfondo all’avventura di Sargon, uno tra i più estesi ed elaborati apparsi in un prodotto di questo tipo in tempi recenti, ospita un buon numero di ambienti differenti farciti di avversari da affrontare, ostacoli ed enigmi ambientali da superare nonché diversi segreti da svelare, che spaziano da missioni secondarie nascoste a autentici mini-boss opzionali. C’è davvero tanto da vedere e da scoprire.

Così tanto che lo studio ha pensato di includere una schermata di consultazione della mappa che consente non solo di applicare segnalini sui punti di interesse da visitare in seguito, ma anche di eseguire dei veri e propri screenshot della zona (a patto di avere sufficienti unità di Frammenti di Memoria, una risorsa in-game con questo specifico scopo) per avere un quadro sempre chiaro delle aree da rivisitare una volta ottenuti nuovi poteri.

Per favorire la navigazione, inoltre, lo studio ha introdotto una serie di punti di controllo tramite cui è possibile effettuare viaggi rapidi e ha posizionato strategicamente i cosiddetti alberi Wak-Wak, che fungono da checkpoint in caso di sconfitta sul campo di battaglia. Ad essere del tutto sinceri non abbiamo capito il motivo per cui non si è optato per fare coincidere questi due elementi, fattore che avrebbe reso ancora più fluida la progressione nelle viscere del Monte Qaf, ma si tratta comunque di un neo di poco conto in un contesto di assoluto pregio.

Un combat system di classe

Ubisoft Montpellier ha compiuto un lavoro eccellente nel fondere le fasi d’azione tipiche dei metroidvania con un sistema di combattimento ben tornito, che prende in prestito alcuni delle dinamiche tipici dei picchiaduro come il “juggling” e il “bouncing” degli avversari. Ci spieghiamo meglio: Sargon può eseguire complesse catene di combo impiegando le sue spade e tutti i poteri conquistati, nonché sfruttando gli elementi dello scenario per prolungare la durata delle varie sequenze di attacchi.

Si può, ad esempio, iniziare la combo con un attacco verso l’alto capace di lanciare l’avversario in orbita per poi seguirlo con un salto, concatenare un paio di fendenti in volo e rispedirlo verso il suolo per ottenere un effetto di rimbalzo e moltiplicare i danni inflitti. Vi ricorda niente? La cosa più impressionante è che le decine di possibilità garantite dalle doti combattive di Sargon vengono gestite con la pressione di un singolo tasto in combinazione con i comandi direzionali. Quello che inizialmente può sembrare un sistema di combattimento fin troppo “automatizzato” nasconde invece un’incredibile profondità, che aggiunge un insperato spessore al gameplay del titolo. Ad arricchire ulteriormente le fasi di battaglia ci pensano gli attacchi speciali basati sull’indicatore Athra, risorsa che permette di scatenare una buona varietà di tecniche arcane, tra assalti devastanti e poteri di supporto. Ubisoft Montpellier ha inoltre dedicato una grande attenzione alle capacità difensive di Sargon: eseguire un parry perfetto in risposta agli attacchi nemici evidenziati in giallo, ad esempio, si traduce nell’esecuzione di un contrattacco letale, enfatizzato sempre da splendide sequenze animate.

Sotto questo aspetto, ci preme segnalare solo una finestra di parata forse un po’ troppo ampia che rende fin troppo semplice eseguire questo tipo di manovre. Le schivate, invece, possono essere utili sia per sfuggire ai colpi imparabili degli avversari che per cancellare le nostre catene di attacco, ed ampliare ulteriormente il ventaglio delle possibilità offensive. Insomma, forse siamo ancora lievemente distanti dalla precisione chirurgica sfoggiata dall’eccelso Hollow Knight, ma si tratta comunque di uno dei migliori sistemi di combattimento mai apparsi in un prodotto di questo genere.

Laddove molti altri esponenti della stessa categoria mostravano il fianco a una certa ripetitività negli scontri, specie sul lungo termine, The Lost Crown rimane sempre fresco e divertente fino alle battute finali grazie anche a una corretta gestione della progressione, e a una distribuzione omogenea dei poteri sbloccabili lungo tutta l’avventura. C’è anche la possibilità di personalizzare le abilità nostro guerriero tramite un sistema che rifugge la solita struttura a base di skill tree per adottarne una che, sempre ispirandosi all’Hollow Knight di Team Cherry, promuove l’utilizzo di una serie di Amuleti e Talismani dalle proprietà peculiari (come l’aumento temporaneo dei danni con la salute al massimo, l’incremento del numero massimo di colpi consecutivi nelle combo a terra e tantissimo altro).

Va da sé che il sistema non permette di realizzare build davvero trasformative, ma si tratta comunque di un buon modo per adeguare lo stile di lotta di Sargon alle esigenze dei giocatori. Un plauso speciale va infine fatto al bestiario realizzato dal team, che include un gran numero di avversari differenti sia dal punto di vista estetico che in termini di abilità combattive: si passa da nemici base armati di spada e scudo ad avversari che detonano dopo essere stati sconfitti, da creature capaci di infliggere stati negativi a mostri volanti esperti nel combattimento a distanza.

Davvero niente male. Il picco, comunque, si raggiunge negli scontri con i boss, numerosi e incredibilmente variegati sia in termini di realizzazione estetica che sotto il punto di vista del moveset. Ci sono alcuni scontri, nelle fasi più avanzate dell’avventura, in cui la contesa si trasforma in una vera e propria danza mortale impreziosita da un uso esemplare degli effetti speciali e della telecamera.

Arte persiana

L’ultima versione dello Unity Engine sostiene un comparto grafico tutto sommato gradevole, graziato da una modellazione poligonale di pregio per quel che riguarda protagonisti e avversari, da un comparto animazioni di assoluto valore e dal già citato utilizzo magistrale dell’effettistica.

Altrettanto solido è il frame rate dell’avventura, che su PS5 resta in genere ancorato alla soglia dei 60 fps garantendo all’azione la giusta fluidità. Ciò che, invece, non ci ha convinti appieno è la leggera dissonanza che si avverte tra l’estetica esuberante dei personaggi e quella più classica delle ambientazioni, che mantengono invece un aspetto generalmente plausibile e dalle architetture abbastanza tradizionali. Ci sono alcuni frangenti dell’avventura in cui gli sfondi regalano scorci di una bellezza mozzafiato e altri, invero abbastanza rari, in cui si avverte una certa piattezza nella realizzazione degli scenari. È come se il team francese si fosse ritrovato conteso tra la volontà di spingere l’acceleratore su una visione artistica del tutto personale e la necessità di rimanere ancorati alle atmosfere tipiche della saga di Prince of Persia, tradizionalmente ispirata alle fiabe da ‘Mille e Una Notte’. Non si tratta, naturalmente, di un difetto debilitante ma è comunque un elemento che ci pareva opportuno segnalare. Ottimo, invece, il comparto audio composto da buoni campionamenti sonori e da un doppiaggio in inglese sempre ben recitato e adatto alle varie situazioni proposte.

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