L’identificazione delle impronte digitali e il loro successivo confronto è un processo noto soprattutto nell’ambito della lotta al crimine. La tecnica necessaria a questo scopo è stata introdotta da Scotland Yard nel 1901. Ma l’idea originale è ancora più antica. Nel 1858, infatti, un funzionario britannico dell’India coloniale ne fu l’antesignano. Egli utilizzò le impronte digitali come mezzo di identificazione per evitare che un lavoratore, dopo aver ricevuto la sua busta paga, si mettesse nuovamente in coda per riceverne una seconda.
Per decenni abbiamo pensato che ognuna delle nostre dieci impronte digitali fosse unica e che non potessero essere necessariamente collegate se registrate separatamente. Ma questa affermazione regge quando applichiamo le più recenti tecnologie scientifiche? Un gruppo di ricerca affiliato alla School of Engineering and Applied Science della Columbia University statunitense ha deciso di mettere alla prova l’intelligenza artificiale (IA).
Un collegamento impossibile?
Il materiale di ricerca consisteva in un database di circa 60.000 impronte digitali. Il team ha inserito queste impronte a coppie in una nuova rete basata sull’intelligenza artificiale che aveva progettato. Alcune coppie erano costituite da impronte della stessa persona ma con dita diverse, altre da due persone diverse. I risultati della ricerca hanno evidenziato un particolare essenziale per la presunta unicità delle impronte digitali.
Supponiamo che un criminale lasci un’impronta dell’indice sinistro in un furto con scasso e che una settimana dopo lasci un’impronta del pollice destro in una rapina. Convenzionalmente, si potrebbe ritenere che le due le impronte e di conseguenza i due casi non possano essere attribuiti allo stesso criminale. E invece possono esserlo, secondo le conclusioni del gruppo di ricerca pubblicate su “Science Advances”. Il loro sistema di intelligenza artificiale è riuscito ad abbinare, nel 77 per cento delle analisi comparative, le coppie di impronte separate. E le prestazioni aumentano ulteriormente quando si confrontano più coppie. Il che, secondo i ricercatori, potrebbe decuplicare l’efficienza delle indagini forensi.
Altri parametri di riferimento
Tutto questo ha suscitato la diffidenza e l’incredulità degli scienziati forensi, che alla fine si sono posti la domanda che ha fornito la chiave della risposta: quali informazioni alternative o aggiuntive, apparentemente trascurate per decenni, usa l’IA?
La visualizzazione meticolosa del processo decisionale dell’IA ha rivelato altri parametri di riferimento. Il sistema non ha scelto le linee papillari ramificate o i punti finali tradizionalmente usati come base di confronto. Piuttosto, ha scelto gli angoli e le curvature dei vortici e delle anse al centro della stampa. Una scoperta con un enorme potenziale, sostengono i ricercatori. Dopo tutto, quanto pensano che questo metodo di identificazione AI possa diventare performante se il sistema viene “addestrato” non con decine di migliaia ma con milioni di impronte digitali?
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Eos Wetenschap”. Traduzione ed editing a cura di “Le Scienze”. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)