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Riportare l’auto al centro di un dibattito pubblico solido e ispirato dai fatti. Smettere di vedere l’industria automotive come il problema e farla diventare parte della soluzione. Avere norme precise e regole stabili. Capire quanto vale l’industria automobilistica per l’Europa e comprendere la sfida a livello globale. Questi e tanti altri punti sono stati toccati da Luca De Meo durante il suo intervento durante la riunione Acea (Associazione dei Costruttori automobilistici europei), guidata proprio dal manager italiano. Come già successo in passato, il presidente del gruppo Renault va oltre gli ideologismi o le prese di posizione in voga al momento ma pone l’attenzione sull’urgenza di azioni forti e risolutive per tutelare un settore che vale l’8% del Pil dell’intera Unione Europea e ben 13 milioni di posti di lavoro.
A seguire l’intervento integrale di Meo.
L’auto in Europa vale 13 milioni di posti di lavoro
“Il 2023 passerà alla storia come l’anno in cui l’Europa ha preso consapevolezza del fatto che la Cina è il nuovo colosso dell’industria automobilistica. Dopo lo spettacolare sviluppo di Tesla, noi europei sappiamo che è giunta l’ora delle sfide. Ma abbiamo ben compreso la portata della posta in gioco? Perché qui si parla di un settore che rappresenta l’8% del PIL dell’Unione, il 30% della sua spesa in R&S e 13 milioni di posti di lavoro. È semplice: basta eliminare l’industria automobilistica e l’Europa si ritrova con una bilancia commerciale in deficit strutturale!”
Parco circolante europeo: da 7 a 12 anni
“Oggi il settore sta affrontando il cambiamento più profondo degli ultimi 150 anni. Necessità di ridurre urgentemente l’impatto ambientale, fine del motore a combustione nel 2035, maggiori requisiti, a giusto titolo, a livello di sicurezza e cyber-security per le auto, veicoli sempre più pesanti e costosi. Tutte queste pressioni si sommano mentre i regolamenti si moltiplicano… con risultati a volte opposti a ciò che vorremmo: nel giro di vent’anni, l’auto europea media è diventata più pesante del 60% e costa il 50% in più, il numero di posti di lavoro dei costruttori è diminuito, fino a raggiungere il 40% in alcuni Paesi. Naturalmente, le auto sono più virtuose dal punto di vista ambientale. Per nostra sfortuna, quelle più costose sono anche quelle che compriamo di meno, anche se ciò significa far durare più a lungo i nostri vecchi catorci inquinanti. Il risultato è che l’età media del parco circolante in Europa è passato da 7 a 12 anni!”
Volatilità a 360 gradi
“Ma non è tutto! Per oltre un secolo, i costruttori hanno praticato uno sport impegnativo, che era comunque ben noto e tenuto sotto controllo. Era il motore a combustione a dettare le regole. Ma ora si tratta di eccellere in più discipline, con requisiti molto diversi: allo sport iniziale, si sono aggiunti veicoli elettrici, software, servizi di mobilità, economia circolare, ecc. Ognuno di questi sport implica una nuova catena del valore tutta da scoprire, materiali, protagonisti, tutto un nuovo mondo da capire, dall’estrazione delle materie prime al riciclo delle batterie. Questo nuovo scenario, ampio e frammentato, è caratterizzato anche da una volatilità senza precedenti. Tanto per cominciare, volatilità tecnologica, in contrasto con un mondo contraddistinto dal motore termico, con un’evoluzione tecnologica sapientemente lineare. Emblematico è il caso delle batterie: anche gli investimenti da miliardi nelle gigafactory possono essere rimessi in discussione da un giorno all’altro dal cambiamento della chimica da utilizzare. Volatilità anche dei prezzi delle materie prime, per esempio, quando il prezzo del litio aumenta di 12 volte e poi si dimezza nel giro di 3 anni. Ed infine, volatilità delle normative, come dimostrano i recenti rinvii della norma EURO7. Queste fluttuazioni si associano ad una conseguenza radicale. Per l’industria automotive, al mantra secolare basato su scala ed efficienza si sovrappone un nuovo must: innovazione ed agilità strategica. Sono questi gli elementi che i costruttori automobilistici devono ora porre al centro delle loro politiche.”
Produzione batterie: il 75% in mano ai cinesi
“La sfida è ben poca cosa di fronte alla nuova geografia mondiale che sta facendo vacillare le certezze degli europei. Se il motore a combustione, in cui siamo i migliori al mondo, ha resistito per un secolo come barriera all’ingresso a vantaggio degli europei, questi ultimi si trovano ora in una posizione di relativa fragilità. I cinesi controllano il 75% della produzione mondiale di batterie. Percentuale che arriva fino al 90%, quando si tratta di raffinazione del litio. A questo primo squilibrio se ne aggiunge un secondo, ancora più grave: rispetto agli Stati Uniti, che incentivano massicciamente la loro industria, e rispetto ai cinesi, che la organizzano a suon di piani, noi sforniamo regolamenti, spesso con poca coerenza, facendo fatica ad affrontare le sfide in modo olistico. Tracciare il nostro futuro come costruttori automobilistici europei è chiaramente, innanzitutto, una questione di innovazione imprenditoriale. È nostra responsabilità inventare modelli aziendali adatti ai nuovi scenari, investire in nuove tecnologie e proporre offerte commerciali che raccolgano la sfida della mobilità accessibile e sostenibile. È in questo scenario che si aspettano risultati da parte nostra. E da 3 anni Renault non è rimasta con le mani in mano, proponendo- tra le altre iniziative- Ampere, la risposta più concreta e completa di un costruttore europeo alle sfide provenienti da Oriente e Occidente.”