Estratto dell’articolo di Carlo Massarini per “La Stampa”
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La prima, più ovvia e frequente domanda è: il Festival di Sanremo è una fotografia reale della musica italiana dell’anno 2024? […]
Il dato di fatto è che cinque anni di direzione artistica di Amadeus hanno fatto sì che Sanremo abbia subito una mutazione genetica profonda, che solo il futuro dirà se definitiva o meno.
Venivamo da due anni di Claudio Baglioni, il quale aveva azzerato la musica straniera (tradizionalmente presente fin dagli anni 60, in gara o meno) e ne aveva fatto una vetrina di musica italiana (oltreché della propria). Diciamo abito dal taglio cantautorale, come il padrone di casa. Un’operazione affettuosamente definibile “da boomer”.
Non che Amadeus abbia dimenticato il passato, mica è pazzo, l’audience è – scusate la vecchia metafora – come il maiale, non si butta niente. Si son viste cose che voi umani (valga per tutte il trio Morandi-Ranieri-Al Bano, Gigliola Cinquetti, persino i Jalisse), sono passati i totem e anche i totemini, è transitato di tutto.
Non in gara, però.
Le sopracciglia inarcate all’annuncio del cast di quest’anno, la corsa a chiedere ai figli “scusa, ma chi è Tedua? E Big Mama da dove esce? I La Sad sono davvero –esistono ancora? – un gruppo punk?” (no, erano solo una caricatura da musical) lo ricordo bene. Una reazione da boomer, appunto.
In gara (e non da quest’anno) c’era una musica italiana diversa dal passato, come se la categoria Giovani (o Promesse) si fosse sostituita alla obsoleta categoria dei “Campioni” di baudesca memoria.
[…] Ho anche il sospetto che il vero direttore ombra del Festival sia l’inquadratissimo Josè Sebastiani, il figlio di Ama-deus-ex-machina […]
Perché proprio lì sta la questione: dopo cinque serate viste con meticolosa curiosità (per me Sanremo è un breve – bè, breve, si fa per dire…– corso di aggiornamento annuale), la sensazione è quella che il cast di Sanremo ’24 sia una sorta di mondo parallelo nel quale hanno residenza le (piccole o grandi) star del mondo ggiovane di adesso, quello in cui sono tutti “bro”: musica leggera leggerissima, carina da canticchiare e ballare, perfetta per playlist o playlist dal vivo negli spettacoli televisivi estivi simil-Festivalbar, teenager in delirio con cellulare puntato, con numeri esagerati su Spotify (avrete notato che nelle presentazioni non si parla più di dischi venduti ma di streaming, giusto? ).
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questa è la cosa interessante della musica di Sanremo’24: le produzioni. Se di accordi se ne usano pochini, se i brani sono molto orecchiabili ma fatti un po’ in serie (si parte piano, poi si decolla, poi ci si ferma e si riparte –lo fecero per primi Battiato e Alice con Il Vento Caldo dell’Estate, era il 1980), i suoni sono la vera novità. Si sente meglio sui dischi che all’Ariston (dove l’orchestra riempie e arricchisce): i giovani produttori italiani sono perfettamente al passo con quello che succede nel mondo, la tecnologia digitale ha uniformato le produzioni planetarie, ma c’è innovazione e inventiva nei beat, negli arrangiamenti, nelle sonorità. […]
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