Carne rossa e formaggi più cari, più sostegni a pollo e verdure: il piano della Banca Mondiale per salvare il clima

Il settore agroalimentare è responsabile di un terzo delle emissioni a livello globale. Prezzi più alti possono convincere i consumatori a variare le scelte a beneficio dell’ambienteIl settore agroalimentare è responsabile di un terzo delle emissioni a livell…

Ridurre i finanziamenti a latte e carne bovina, aumentando quelli a pollame e prodotti agricoli. Ecco la ricetta della Banca Mondiale per contrastare gli effetti della crisi climatica e ridurre le emissioni del settore agroalimentare. Nel suo nuovo report intitolato Recipe for a livable Planet, la maggiore organizzazione internazionale per il sostegno allo sviluppo e la riduzione della povertà suggerisce ai Paesi più ricchi di smettere di concentrare i propri finanziamenti miliardari sull’industria della carne e del latte per puntare su pollame, frutta e verdura. L’industria del cibo, infatti, causa circa un terzo delle emissioni di gas serra a livello globale, ma non tutti i prodotti hanno lo stesso impatto. Un chilo di carne di manzo, per esempio, emette circa 60 chilogrammi di anidride carbonica equivalente (CO2eq, unità di misura che comprende sia la CO2 sia altri gas serra). Molto più rispetto a un chilo di formaggio (21,2 kg di CO2eq) o a un chilo di noci (solo 0,2 kg di CO2eq).

Come decarbonizzare l’agroalimentare?

Nei loro sforzi per ridurre le proprie emissioni climalteranti, secondo la Banca Mondiale i Paesi hanno trascurato l’impatto della produzione agricola e alimentare. Nel report, infatti, si legge che ciascun Paese dovrebbe investire 260 miliardi di dollari all’anno per decarbonizzare questi settori. Una cifra 18 volte superiore rispetto agli attuali investimenti, che si assestano ad appena il 2,4 per cento del totale. Aumentare gli sforzi in questo senso avrebbe anche delle ricadute positive su salute, ambiente ed economia: col risultato che ogni dollaro investito ne genererebbe 16 di ritorno economico. 

Meno carne e latticini

Per ridurre la forbice, i governi dovrebbero quindi “dare un prezzo” all’impatto climatico di alcuni cibi particolarmente inquinanti aumentando il loro costo. Come? Tagliando i sussidi a carne rossa e latticini per finanziare cibi meno inquinanti. In questo modo, secondo l’organizzazione, si riuscirebbe a ridurre la domanda degli alimenti con il maggior impatto sul pianeta nei Paesi più benestanti, responsabili di circa il 20 per cento di tutte le emissioni del settore agroalimentare. «Aumentare il prezzo degli alimenti di origine animale per sottolineare il loro costo ambientale renderebbe più convenienti e competitivi i cibi a basso impatto», si legge nel report.

L’impatto degli alimenti sull’ambiente

La Banca Mondiale stima che una dieta prevalentemente vegetariana potrebbe ridurre le emissioni climalteranti del doppio rispetto ad altri metodi. Secondo uno studio del 2018 pubblicato sulla rivista scientifica Science, il 60 per cento delle emissioni legate al sistema alimentare è dovuto alla produzione di carni e latticini. Nello studio si analizzano tutte le fasi produttive: dall’abbattimento delle foreste per fare spazio ad allevamenti e coltivazioni a trasporto, trasformazione, imballaggio e conservazione.

La situazione climatica

Nel 2015 l’Unione europea e altri 194 Paesi hanno firmato l’Accordo di Parigi con cui si sono impegnati a limitare l’aumento delle temperature al di sotto di 1,5 gradi centigradi. Nel 2025, a dieci anni di distanza, gli stessi Paesi dovranno aggiornare i propri piani per il clima in una situazione climatica oggettivamente più complessa: mercoledì 8 maggio, infatti, il servizio per il cambiamento climatico di Copernicus ha stabilito che l’aprile del 2024 è stato il più caldo mai registrato a livello globale. Senza contare che da maggio 2023 ad aprile 2024 la temperatura media globale è risultata di 1,61 gradi centigradi superiore rispetto a quella dell’epoca preindustriale.

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