Paris Hilton è uscita dal selfie ed è approdata nella realtà. Un po’ come Margot Robbie quando esce da Barbieland e atterra nel mondo in cui le donne non sono geneticamente dotate di piedi a punta e indossano le Birkenstock. La svalvolata miliardaria, influencer, attrice, star dei social e dei reality, imprenditrice e creatrice di brand e profumi non memorabili (viene sempre un po’ il dubbio che dietro una lista delle attività così lunga si celi una sostanziale nullafacenza) è atterrata ieri sui banchi di una commissione del Congresso americano nella veste di testimone per denunciare gli abusi e i maltrattamenti di cui è stata vittima da ragazza in un collegio per recupero di adolescenti problematici e chiedere di cambiare la legge che regola il funzionamento di queste strutture. Normalmente Paris Hilton la troviamo dall’altra parte del banco, con denunce e arresti per possesso di droga, guida in stato di ebrezza, eccesso di velocità e altro. Dalle cronache si evince che si è anche fatta qualche ora di carcere durissimo, come tutte le celebrity di un certo lignaggio.
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Ieri invece a Washington è apparsa davanti alla commissione per le questioni economiche e sociali del Congresso per raccontare cosa le è successo quando i genitori a 16 anni, incapaci di contenere le sue esuberanze, il suo animo ribelle e soprattutto la sua sindrome di iperattività ADHD (qui cosa serissima, c’è poco da scherzare) l’hanno spedita in un centro di recupero per minori. La storia sembra molto quella dei genitori ricchi che si liberano dei figli problematici e con un basso rendimento scolastico nel più comodo dei modi: rette da 800 a 1000 dollari al giorno, purché se ne occupi qualcun altro. Quindi per l’adolescente Paris si sono aperte le porte del collegio, la Provo Canyon School dello Utah, dove la Hilton ha raccontato di essere stata abusata sessualmente, trattenuta con violenza e costretta ad assumere farmaci per anni. Ha detto di essere stata «violentemente trattenuta e trascinata per i corridoi, spogliata e gettata in isolamento». Le veniva impedito di avvertire i genitori, le poche telefonate erano monitorate e le toglievano la linea se diceva troppo.
A 43 anni, riposto il chihuahua nella borsetta griffata, insieme ai suoi cinque cellulari glitterati, lasciati alle tate i figli Phoenix (maschio) e London (femmina) generati in provetta per non sciupare il suo prezioso tempo e corpicino, la miliardaria influencer veste ora i panni della paladina dei diritti dell’adolescenza violata. Ha parlato della sua esperienza come di un «rapimento approvato dai genitori» che sono caduti, come molti altri «nel marketing ingannevole dell’industria degli adolescenti problematici».
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Un business da 50 miliardi di dollari, che comprende – secondo la denuncia della Hilton – collegi terapeutici, campi di addestramento in stile militare, strutture di giustizia minorile e programmi di modificazione del comportamento. La Hilton ha accusato l’industria, che vale miliardi di dollari, di essere più interessata a fare soldi che a proteggere e curare i bambini vulnerabili di cui è responsabile.
«È più importante proteggere i profitti delle aziende o proteggere le vite dei giovani in affidamento?», ha detto per sostenere la legge che inasprisce i controlli.
Degli abusi e dei maltrattamenti aveva già parlato nel 2020 nel documentario “This is Paris”. E poi nell’autobiografia del 2023 “Paris: The Memoir”.
Una battaglia giusta e sacrosanta. Che ammetto, si fatica a ripulire dall’immagine del personaggio Paris Hilton come lo conosciamo, con la nullità di quello che rappresenta, con l’inconsistenza delle sue creme e delle sue beauty routine («la cura della pelle è sacra» ha scritto nell’autobiografia). O forse è proprio per scappare da quelle esperienze di adolescente abusata che è nato il personaggio Paris Hilton che conosciamo? Sono dilemmi irrisolvibili, come irrisolvibile è l’animo dell’essere umano.