Tra il 1920 e il 1960, Forte dei Marmi, fu meta prediletta dei più grandi artisti italiani, da Carrà a Rosai, da Maccari a Guttuso e Montale. Una mostra, permanente, ne ripercorre i gloriosi anni
Forte dei Marmi – L’inaugurazione del “Museo d’Arte Moderna Quarto Platano” di Villa Bertelli rappresenta senza ombra di dubbio un affascinante viaggio nel ‘900 italiano in cui si mescolano opere, aneddoti, narrazioni popolari e letterarie, miti e leggende di un mondo irrimediabilmente tramontato.
All’ombra del “quarto platano” del Caffè Roma tra gli anni venti e sessanta del secolo scorso, si ritrovavano nella vivace e salina Forte i più affermati, emergenti ed estrosi artisti del panorama nazionale.
In questo angolo della Versilia bagnato dal Mar Tirreno, protetto dalle rocciose ma candide Apuane si trasferivano in estate i tanti habitué dei caffè letterari d’Italia, dalle Giubbe Rosse di Firenze all’Aragno di Roma.
La barba di Enrico Pea, le battute al vetriolo di Alberto Savinio, gli amori e umori di Curzio Malaparte, il burbero e solitario Giovanni Papini, la voce baritonale di Eugenio Montale e le pedalate sulla bicicletta arrugginita di Ardengo Soffici erano uno dei tanti e singolari spaccati di storia ma soprattutto di vita che si incontravano in questo cenacolo naturale che si riuniva un po’ per caso e un po’ per desiderio alla ricerca dell’ombra, della polemica dal dolce-amaro sapore longanesiano (Longanesi che in queste zone bazzicava!) e dell’illuminazione per creare, inventare e meravigliare.
Ancora oggi, nonostante le grandi vetrine e le auto di lusso abbiano preso il sopravvento in questo fazzoletto di terra, sul lungomare è possibile passeggiare tra i dipinti del ribelle Carlo Carrà e leggere alcune targhe commemorative come quella al Caffè Roma, riprodotta in apertura della mostra permanente di Villa Bertelli: “Sotto le molli ombre di questi platani, ancora memori e stormenti al candore dei marmi del forte, passarono ore e stagioni felici e feconde, auspice e nume del luogo: Enrico Pea, Giovan Battista Angioletti, Carlo Carrà, Giuseppe de Robertis, Ardengo Soffici e gli altri poeti e artisti che già respirarono e ancora respirano e odorano queste molli ombre in un luogo solare che ne accomunò le energie vitali” (Piero Bigongiari, 1969)”.
L’intento della Fondazione Villa Bertelli e dell’amministrazione comunale è quello di “valorizzare e ricordare una storia di primissimo piano, non solo per la cultura locale ma per l’Italia intera”.
Il cenacolo del “Quarto Platano” torna dunque a rivivere con una mostra (destinata a durare diversi anni) riportando a casa molti protagonisti di quella celebre stagione.
Si possono dunque ammirare i paesaggi marini del Forte di Carlo Carrà, Achille Funi e Mario Marcucci, le opere di Ottone Rosai e un’intera sala è dedicata ai capolavori di Arturo Dazzi, nativo di Carrara, in cui emergono il disegno a carboncino su foglio di giornale (“La Nazione”) in cui è ritratto Giovanni Papini nonché quello rappresentativo di Guglielmo Marconi.
E poi ancora dipinti, disegni, schizzi, fotografie, autoritratti, lettere di Ardengo Soffici (es. Strada di granaio), Mino Maccari (es. La vittima), Umberto Vittorini (es. Spiaggia a Vittoria Apuana. Bagno Capri) e quindi la sorpresa di Eugenio Montale (es. Forte dei Marmi) risalente al 1958. Il famoso poeta genovese oltre ad essere una firma eccelsa del piano nobile de “Il Corriere della Sera” e un baritono mancato era un sorprendente pittore: “La pittura de cavallettto costa sacrifizi a chi la fa ed è sempre un sovrappiù per chi la compra e non sa dove appenderla” (“L’Arte Povera”).
Deliziato anche lui dalle libecciate, dalla natura selvaggia, dal richiamo degli uccelli, dai mille colori delle vele spiegate e dei bagni che si distendono lungo la costa, “su carta blu da zucchero o cannelle da imballo” o su tela lasciava andare la mano perdendosi nell’olimpo dei sensi e delle emozioni. Famosa, nonché esposta, è la foto del poeta che divertito e rilassato, fumando una sigaretta affresca la casa di Raffaele de Grada.
Quindi preziosi reperti come il cappello estivo con pennelli di Carlo Carrà, il disegno di Renato Guttuso per il romanzo “Agostino” scritto da Alberto Moravia, una preziosa lettera di Arturo Dazzi all’amico Giovanni Papini su carta intestata della Reale Accademia d’Italia, lettere di Lorenzo Viani ad Ardengo Soffici e tante altre ricche testimonianze accompagnano il visitatore in un percorso senza tempo capace di suscitare curiosità e stupore ma anche tanta nostalgia.
La stagione del “Quarto Platano” iniziò a tramontare con la morte del suo principale animatore, Enrico Pea, che dai tavolini del Caffè Roma, dove oggi transitano miliardari russi, maranza e calciatori, incantava i tanti amici con le avventure della sua giovinezza ad Alessandria d’Egitto, alla “Baracca Rossa”, ritrovo di intellettuali, rivoluzionari ed anarchici, trascorsa seguendo colui che si può definire il suo unico maestro: Giuseppe Ungaretti. A qualche centinaio di metri di distanza, nella piazza dove sorge il fortino lorenese c’è una vecchia foto in bianco e in nero: al centro l’inconfondibile Pea con la sua lunga barba bianca e intorno a lui i testimoni e ultimi depositari di quegli incontri leggendari come Carrà, de Robertis, Longhi, Montale etc.
In quei gloriosi e fecondi anni, nonostante gli incontrollabili e imprevedibili caratteri non venne mai il calore umano, la stima e l’affetto tra di loro.
Era forse, un altro mondo, che oggi torna a rivivere nella sua vecchia e cara Forte dei Marmi. Terra di cavatori di marmo, pescatori, artisti, poeti, scultori, ma soprattutto limpidi sognatori. E in fondo chi sogna non muore mai. Forse.